Silenzio. Cinguettio. Silenzio. Fruscio nel bosco. Ancora silenzio

Il cielo era di un colore rosso pastello che a Duncan ricordava molto la brace che si consumava nel buio del caminetto. Era accampato da solo in una piccola pineta. Non faceva molto freddo perché era settembre, il mese dell’uva. Aveva acceso un piccolo fuoco per avere solo un po’ di luce e naturalmente per tenere alla larga gli animali indesiderati.

Alzo’ la testa al cielo e vide sfrecciare una stella cadente. Buon segno. Duncan non sapeva cosa significasse una cosa del genere ed in verità’ non sapeva nemmeno perché ciò accadesse ma ne rimaneva sempre affascinato. Gli sarebbe molto piaciuto volare per poter vedere cosa ci fosse stato lassù nel cielo, ma forse, in fondo, non era affare suo.

Aveva con sé soltanto la sua spada, la compagna di mille avventure, come la chiamava lui, ma in verità egli sapeva di aver vissuto ben pochi momenti emozionanti in vita sua. Si certo, c’era stata quella volta che quel cinghiale l’aveva attaccato, e lui si era difeso ma non era nemmeno stato capace di uccidere l’animale. Oppure quella volta che vide i briganti che si dividevano il bottino nel bosco. Era riuscito a scappare senza che se ne accorgessero.

In verità’ Duncan non aveva mai vissuto momenti di vera avventura, momenti che rimangono incisi a fuoco nella memoria e nel tempo. Momenti in cui ti senti più vivo che mai proprio perché hai vicino a te la morte, o una qualsiasi situazione di pericolo. Egli spesso immaginava di fare qualcosa di veramente rischioso ma allo stesso tempo di giusto.

Non sapeva come spiegare questa sua sensazione interiore che lo spingeva a voler combattere contro un intero esercito di predoni per salvare il denaro dei poveri e magari anche una ricca nobildonna. Perché questo desiderio? Intanto il tempo passava e lui se lo sentiva sgusciare fra le dita. Non sapeva come fermarlo, come sfruttare al massimo ogni momento che gli era stato dato. Avrebbe voluto avere avventure ogni giorno per sentirsi riempire di esperienza e ricordi. Per Duncan i ricordi erano molto importanti: infatti pensava che una volta diventato vecchio uno dei pochi piaceri che avrebbe avuto sarebbe stato quello di tuffarsi in un mare di esperienze passate, non tanto da rimpiangere, ma da rivivere, ricordandosi ogni singola emozione che aveva provato. Cosa fare? Duncan non lo sapeva, ma intanto cercava di vivere felice come aveva sempre fatto.

Quella sera il cielo era davvero limpido e si potevano vedere un’infinita’ di bellissime stelle che ammiccavano felici nel cielo. Anche la luna volava tranquilla nell’oscurità come una madre premurosa che sorveglia i sui figli. Duncan sentì che si stava addormentando e non combatte’ questa sensazione, sprofondando nel tranquillo mondo di sogni.

Nel Sogno Duncan si ritrovò di nuovo a quella volta che vide i predoni, ma questa volta non scappo’ ma si diresse da loro a sfidarli. Iniziò subito il combattimento in cui riusciva a vincere tutti gli avversari, da soli o insieme. Sapeva che questo non era giusto, ma era felice.

Dopo averli sistemati tutti usando la sua spada, e la sua abilità fisica (che tra l’altro non aveva) di autodifendersi vide che oltre al bottino costituito da monete d’oro sonante c’era anche una giovane donna dai biondi capelli. Il suo viso era chiaro e fresco come il latte e aveva gli occhi del colore della giada. La donna non era legata, e si stava avvicinando a Duncan per ringraziarlo.

Lui la guardava e per la prima volta in vita sua si sentì amato da una donna. Non capiva come poteva sapere ciò, somigliava più ad un’intuizione che ad una certezza. La vegetazione era rigogliosissima, e la luce in cielo cominciò ad aumentare. Tutto diventò più chiaro, ed anche il sorriso della dama di cui non conosceva il nome cominciò ad annebbiarsi. La luce si faceva sempre più forte, e quando Duncan aprì gli occhi ne capì la ragione: era sorto il sole.

(1) …Pini ed abeti senza aura di venti
si drizza no nel sol che li penètra,
sola garrisce in picciol suon di cetra
l’acqua che tenue tra i sassi fluì.

Era un sogno, pensò con rimpianto Duncan, soltanto un sogno, non sapendo se rimpiangere maggiormente l’eroica azione di aver sbaragliato un numero imprecisato di predoni o di aver conquistato (e di essere stato conquistato) da una bellissima donna. “Pazienza, ci sarà tempo anche per questo, un giorno”, si disse Duncan, ed in cuor suo ci sperava davvero. Il cuore spesso è un abile mentitore ma le sue bugie son più dolci del miele di acacia e spesso possono attenuare molte preoccupazioni o dispiaceri. Dei grilli ancora facevano sentire il loro trillo e Duncan decise che forse era ora di muoversi. Non aveva con sé molto cibo, ma contava di trovare qualche bacca lungo la via.

La strada che mancava per arrivare a colle “Selva nera” era ancora molta e non poteva sperare di arrivarci a stomaco vuoto. Il ragazzo provava ancora quello strano sentimento di affetto per quella misteriosa fanciulla dai biondi capelli che purtroppo stava svanendo dalla sua memoria. Aveva addosso quella strana sensazione di essere come osservato da molta gente pronta a commentare ogni suo movimento, ogni suo sguardo, ogni suo pensiero. Spesso questa sensazione lo assaliva quando si trovava a viaggiare da solo nei boschi ma mai si era fatta così intensa.

Si ricordò improvvisamente di una strana esperienza che gli era successa non tanto tempo prima: stava suonando il suo flauto disteso in un enorme prato assaporando la gioia della natura circostante quando il tutto era avvenuto. Il cielo era terso e il sole splendeva come mai; non una nuvola all’orizzonte mentre tutta la natura esultava nel momento in cui questa era più rigogliosa: nei mesi di poco precedenti all’estate. Duncan aveva sentito una strana sensazione di gioia e di tranquillità entrare nel suo cuore mentre la musica scorreva tranquilla attraverso le dolci note del flauto che egli stesso si era costruito con un tronchetto di legno.

Improvvisamente un segno, un messaggio penetrò nel suo cuore: una sensazione che lo rendeva intensamente felice. Quando la gioia raggiunse il suo apice Duncan vide che i suoi piedi stavano cambiando lentamente forma. Le sue caviglie stavano diventando di un color verde acceso che si poteva paragonare solo a quello dei germogli di acacia. Duncan ebbe molta paura e smise di suonare.

(2) (e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c’intica i ginocchi)

Silenzio. Cinguettio. Silenzio. Fruscio nel bosco. Ancora silenzio.

Si accorse allora che nulla era successo, che tutto era stato soltanto un’illusione. Egli non credeva nelle streghe né a tutti quei mostri che spesso i vecchi dicono di aver incontrato per intimorire i più giovani: mostri come Trolls, Rugginofagi e gli stessi gnomi. Eliminando la magia, cosa poteva aver provocato quella strana allegria? Duncan non aveva una risposta in proposito ma raramente aveva voglia di porsi tali quesiti. Lui continuava la sua strada senza porsi troppe domande. Le domande complicano la vita e la rendono invivibile se uno poi non trova le risposte. Aveva suonato molte altre volte da allora, ma non era più successo una cosa del genere. Evidentemente era stato soltanto un’illusione dovuta al troppo sole che aveva preso sul momento.

Duncan continuò a camminare lungo la sua strada, tra uccelli che cantavano dall’alto di alberi secolari e fagiani che spiccavano il volo da campi incolti.

La colazione usuale era costituita da bacche chiamate “strozza preti” che venivano lessate fino a far perdere il loro caratteristico sapore aspro e boccioli di rosa. Naturalmente essendo settembre le mangiate di uva erano quasi all’ordine del giorno. Fortunatamente Duncan non era stato mai colto sul fatto dai contadini a cui aveva “preso in prestito” l’uva. alalche volta mangiava anche carne, naturalmente: conigli (che catturava con le trappole) e qualche uccello ma era davvero molto difficile avere la fortuna di prendere animali durante uno spostamento.

Il monte Altete era in vista. Oramai, era quasi a metà giornata di cammino da Colle Selva nera. Faceva caldo e Duncan decise di riposarsi un po’ in mezzo ad un bellissimo prato in discesa verso Est (o forse Nord?). Bevve un sorso d’acqua dalla sua bisaccia in pelle e tirò fuori dalla sua sacca un po’ di carne secca che aveva con se. Non era molto buona, ma era piena di energie e sfamava senza difficoltà. Improvvisamente sentì uno strano dolore alla gamba destra.

Sentì uno strano fruscio che si allontanava. Subito un tuffo al cuore. Paura di sapere già cosa era successo. Due forellini sul ginocchio. Un po’ di sangue. Veleno.

(3) Le cicale si tacquero. Più rochi
si fecero gli uccelli. Copiosa
la rèsina gemette giù pe’ fusti.
Riconobbi il colubro dal sentore.

Si, Duncan era stato morso da un serpente velenoso mentre era seduto sul prato a suonare. Non era stato capace di identificarlo perché non lo aveva visto, presumibilmente era stato una vipera. Cosa fare? Chiamare aiuto? E chi avrebbe sentito? Era da solo nel bosco da almeno due giorni. Non una casa in vista. Magari qualche viandante. Duncan si mise subito una fascia alla gamba e se la strinse forte. Poi prese il coltello e si tagliò nel punto dove si presentavano i due forellini del morso. Il battito cardiaco era davvero accellerato dalla paura, ma faceva tutto questo meccanicamente, quasi non curante del dolore lanciante che sentiva.

Cercò poi di succhiarsi via il veleno, ma senza grandi risultati. Allora iniziò a chiamare aiuto nella speranza di essere sentito da qualcuno. Passò un’ora. Niente. Passò un’altra ora. Niente. Duncan si sentiva sempre più stanco, sempre più vicino alla sua ora. La sua mente iniziò a vagare nei ricordi scavalcando barriere che il dolore aveva innalzato. L’immagine dei genitori si affacciò alla nella sua mente. Piero e Frida. Erano morti, uccisi in un tumulto popolare.

Non si ricordava molto di loro perché era molto piccolo quando successe. Da allora aveva sempre vagabondato. Amava stare fuori all’aria aperta, poter guardare le stelle ogni notte e sentire gli animali che vivevano con lui in un mondo di favola. Amava soprattutto il verde, gli alberi, le piante, le foglie. Non sapeva spiegarsi questa sua passione, tutti guardavano con indifferenza la natura, ma lui era diverso.

Duncan provava una strana sensazione di torpore e iniziò ad avere sonno. Era quasi mezzogiorno, ma lui si sentiva stanchissimo. Voleva rimanere sveglio almeno per apprezzare gli ultimi momenti della sua vita. Aveva accettato la sua morte con rassegnazione, quasi come se nulla fosse. Infondo se lo aspettava. Sarebbe successo prima o poi.

Tirò fuori dalla sua borsa il flauto. Iniziò a suonare e la melodia che si propagava nella valle era davvero armoniosa. Quella musica avrebbe potuto commuovere chiunque e Duncan ne rimase impressionato. Era solo, come al solito. La musica e la sua mente si fusero insieme in un connubio di sentimenti e di luce. Ecco che ciò che aveva provato quella volta si stava ripresentando. Un brivido gli corse per la schiena. Questa volta non respinse la sensazione che aveva nel cuore, sapeva di non aver nulla da perdere, nessuno che lo avrebbe aiutato. Era l’ora della sua morte. Stranamente era incredibilmente felice ed una lacrima gli solcò il viso. Duncan si caricò come di energia vitale. La sua carnagione chiara iniziò a cambiare verso un colore simile al verde. Non si poteva muovere ma capiva che stava accadendo qualcosa di estremamente bello. Ogni suo muscolo stava diventando più grosso, più forte e tonificato, una luce iniziò a brillare nel suo petto e poi si propagò in tutto il resto del corpo.

Le sue gambe erano diventate completamente verdi come fronde molto forti di un albero di quercia e le mani stavano facendo la stessa cosa. I suoi denti diventarono sempre più bianchi “come mandorle acerbe” (4) , mentre i suoi occhi spiavano il paesaggio intorno ancora inconsapevoli della metamorfosi che stavano subendo. Duncan aveva smesso di suonare il flauto ma la musica stava continuando, e questa era ancora più bella e più armoniosa; mai orecchio umano aveva udito prima di allora una cosa del genere.

La melodia che sentiva non era prodotta da strumenti musicali: era costituita dal dolce fruscio di foglie degli alberi mossi dal vento, dalle pietre che, scaldate al sole, si incrinavano, dal canto così perfetto che ogni singolo uccello produceva. Duncan capì che ogni cosa intorno a lui stava cantando: il vento, il torrente, la fonte. Ma ecco la consapevolezza: Lui era. Non sapeva se era sempre stato così ma ora Lui era. La luce che il suo petto emanava diventò incredibilmente forte: un nuovo sole stava splendendo nella foresta.

Tutti gli animali si erano radunati intorno a Duncan: cinghiali, cerbiatti, volpi, lepri e tutti lo stavano guardando in solenne silenzio. Lui capiva, capiva ogni cosa adesso. Tutto il suo corpo era diventato del colore delle fronde degli alberi: di varie tonalità di verde più chiaro e più scuro, in alcuni punti addirittura nero come la corteccia dei cipressi. I suoi occhi erano scuri come la notte estiva mentre i suoi capelli lunghi erano diventati come un ciuffo di morbida erba della prateria. Anche la sua altezza era cambiata: ora raggiungeva i tre metri.

(5) … E intorno intorno
tutto è silenzio nell’ardente pian
ti canteremo noi cipressi i cori
che vanno eterni fra le terre e il cielo:
da quegli olmi le ninfe usciran fuori
te ventilando co ‘lor bianco velo;
e Pan l’eterno che su erme alture
a quell’ora e ne i pian solingo va
il dissidio, o mortal, delle tue cure
ne la diva armonia sommergerà.

Prese coscienza di ciò che era accaduto. Lui ora non era più Duncan Idaho, o almeno lo era solo in parte, Lui era Pan, il dio della natura. Rimase immobile per molto tempo in contemplazione poi, a grandi passi si diresse verso la sua casa: il bosco, o qualsiasi bosco di ogni parte della terra. Pan sapeva di avere la capacità di diventare ogni cosa che voleva ma la forma originaria della sua essenza era quella in cui si trovava adesso. Staccò un grosso masso dal suolo che si trasformò nelle sue mani in un’enorme spada di pietra. Pan era il responsabile della vita nei boschi e doveva difenderla. Poteva comparire dove voleva, poteva essere quello che voleva ed era immortale, ciò nonostante adesso era stanco, voleva riposare po’. Il suo cammino non lasciava tracce nel bosco; lentamente Pan si avviò versò una fonte dove lentamente si dileguò: Pini, castagni, betulle, erba…

Silenzio. Cinguettio. Silenzio. Fruscio nel bosco. Ancora silenzio.

Note:

(1) Da “Mezzogiorno alpino” di Giosue Carducci. (V.5-8)

(2) Da “La pioggia nel pineto” di G. D’Annunzio (V.112-114)

(3) Da “Stabat nuda Aestas” di G.D’annunzio (V.5-9)

(4) Da “La pioggia nel pineto” di G. D’Annunzio (V. 109)

(5) Da “Davati a S.Guido” di Giosue Carducci. (V.56-64)